Veroca Paiva, primogenita di casa Paiva, nei ’70 si trova a Londra, ascolta Bowie e spedisce alla sua famiglia “Ride a White Swan” dei T. Rex (troviamo curiosamente il gruppo in “Longlegs” di Perkins, 2024, per sviare dall’ovvio citazionismo a “Billy Elliot”). Forse è un’allusione al cambiamento culturale, un invito a cavalcare quel cigno bianco. Non a caso, Veroca si trova lì per via del tesissimo clima brasiliano del periodo, combattuto dalla stessa nei moti studenteschi. In Brasile, dopo il colpo di stato del ’64, la dittatura è ormai una realtà. L’ingegnere Rubens Paiva, padre di cinque figli e marito amorevole, sparisce nel nulla dopo la visita di loschi figuri, che presentano il suo prelievo come un semplice interrogatorio. Diventerà un “desaparecido”. Eunice Paiva prenderà in mano le redini del vuoto lasciato dal marito.
Walter Salles presenta il suo tesoro all’81ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia il 1º settembre 2024. Ispirato al libro di Marcelo Paiva, omonimo al film, Salles afferma: “Durante i sette anni passati a creare ‘Ainda Estou Aqui’, la vita in Brasile ha virato pericolosamente vicino alla distopia degli anni Settanta, il che ha reso ancora più urgente raccontare questa storia.” La pellicola, vincitrice del Signis Award e dei Golden Globes nelle categorie “Miglior film straniero” e “Migliore attrice protagonista drammatica” (Fernanda Torres è inarrestabile nella sua interpretazione), è candidata a “Miglior film”, “Miglior film straniero” e “Migliore attrice protagonista” ai Premi Oscar 2025. Ne emerge un racconto emozionante, intimo e sincero di una famiglia ferita dallo stesso sistema che divora la loro terra. I Paiva diventano il mezzo per raccontare un capitolo doloroso e complesso della storia brasiliana.
Trattandosi di una vicenda reale, le anticipazioni della trama non dovrebbero rappresentare un problema. Perciò, accogliete le mie considerazioni o ignoratele, non lasciandovi però scappare l’occasione di vedere con i vostri occhi la poesia di Walter Salles.
Un elicottero militare che taglia come burro il rosato cielo brasiliano sovrasta il corpo immerso in acqua di Eunice Paiva. Il film si apre con questa potente scena (splendida per composizione e colori della fotografia di Adrian Teijido), in grado di restituire allo spettatore una sensazione fortissima di erroneità di ciò che si sta guardando. Il sonoro gioca un ruolo fondamentale per le “invasioni di campo” degli aerogiri militari nell’intimità quotidiana della famiglia. Ronzano come fastidiose zanzare per tutta la durata del film in momenti chiave, non a caso. Ad ogni modo, con l’avanzare della trama e facendo la conoscenza della deliziosa famiglia Paiva, la gestione del ritmo si rivela eccellente, con un crescendo perfettamente calibrato, mai anticlimatico né eccessivamente posato, che ci trascina dentro la storia di un’incredibile donna: Eunice Paiva.
Scopriamo così che Rubens, ex deputato del Partido Trabalhista Brasileiro (PTB), insieme ad alcuni amici dalle ingenti possibilità economiche (i Paiva appartengono alla borghesia di Rio de Janeiro), aiuta come può i dissidenti politici e gli oppositori del regime, non militarmente, ma offrendo loro supporto economico. Alla visita degli individui che preleveranno Rubens e successivamente Eunice e la loro secondogenita Eliana (all’epoca quindicenne), la moglie si dimostra sorpresa, confusa, poiché all’oscuro delle azioni del marito. Se nella prima parte del film l’attenzione è rivolta a Rubens, padre modello, affettuoso con i figli, colto, intellettuale, dal momento della sua scomparsa la luce si posa sulla straordinaria Eunice. Rubens non farà mai ritorno.
Eunice, che fino ad allora ha sempre vissuto sulle spalle del marito, si rimbocca le maniche. Non la vedremo mai crollare, e la prova attoriale di Fernanda Torres è incredibile. Fin dal primo momento, la resilienza della donna è ammirevole, la sua lucidità nelle decisioni e la sua saggezza nel saper pesare responsabilità e priorità è stupefacente. Personalmente, una delle cose che più mi ha colpito della sua figura è la temperanza. Fin dal momento della “cattura” del marito, non la vedremo mai dare pieno sfogo al suo dolore. Il suo pianto risulta sempre contenuto, anche in momenti in cui sarebbe stato legittimo lasciarsi andare liberamente, con amici, con sé stessa talvolta. Eppure, Eunice è una donna risoluta. Che meraviglioso ritratto di lei dipinge Salles. Allo stesso tempo, questo mancato sfogo causa un dolore profondo nello spettatore. Eunice non ha tempo per questo. Ha cinque figli a cui badare, un conto bloccato (senza la firma del marito, non può ritirare soldi in banca), una casa che non può permettersi, una seconda casa in costruzione, una dolcissima cameriera che non può stipendiare e un marito disperso nel nulla, ucciso dal governo brasiliano che si astiene dal conferire parola sull’esito di Rubens.
In parallelo, l’indagine sulla scomparsa di Rubens, i confronti con l’avvocato e con gli amici, amici che si dimostreranno amorevoli e disponibili fino all’ultimo, dai quali però non chiederà mai nulla, facendo tutto da sé. Si laureerà a 43 anni in legge, diventando una delle prime avvocatesse a difendere i diritti dei popoli indigeni in Brasile. Abbandonerà con i figli l’amata Rio, dopo aver venduto le proprietà, licenziato la cameriera (pagando lo stipendio mancante), e con Rio il mare, che la figlia minore, Babiu, tenta forse di raggiungere nuovamente nuotando in una piscina comunale (prepotente distacco se ripensiamo ai corpi dei protagonisti a inizio film, ripresi spesso in spiaggia, bagnati d’acqua marina, rivestiti di salsedine). Le lotte di Eunice raggiungeranno un punto di svolta nel 1998, quando per la prima volta Rubens verrà formalmente dichiarato morto e, successivamente, nel 2014, la causa del decesso verrà accreditata allo stato brasiliano. 27 anni di attesa.
Paradossale che Eunice si spegnerà il 25 giugno 2018, afflitta dal terribile Alzheimer. Donna la cui vita fu portata avanti dal ricordare e mai dimenticare. Ottima la scelta del casting, che vede una Fernanda Montenegro nei panni dell’anziana Eunice, attrice brasiliana nonchè madre naturale della Torres, donando continuità al volto invecchiato della donna.
Le foto giocano un ruolo jolly (un po’ come “Civil War” di Garland, da recuperare assolutamente se ancora non lo avete fatto). L’obiettivo fotografico cattura volti e momenti, per ricordare chi siamo stati, come siamo stati, monumenti della nostra storia. Eunice sorride nelle foto per i tabloid che racconteranno la loro dolorosa vicenda. Per tenerci stretti i pulviscoli di tempo e spazio che fummo e che furono coloro che, anche se brevemente, ci rimasero accanto.
C’è poco da dire sul lato tecnico, se non che rende la pellicola una carezza e uno schiaffo al contempo. La colonna sonora, ricca di brani nativi e di contrastanti modernità occidentali, si applica perfettamente a ogni scena, come cornice e quadro. La regia e il montaggio seguono morbidamente i protagonisti, con eleganza. Credo che se dovessi definire il film in qualche modo, utilizzerei di certo l’aggettivo elegante. Raffinato.
È importante realizzare film come questo, tornare a politicizzare nel cinema, perchè “Ainda Estou Aqui” è un film politico, brutalmente e senza filtri, non teme di nascondersi a riguardo. E’ un film riflessivo, a tal punto da non riuscire più a ordinare i propri pensieri. E’ una doccia fredda per le nostre menti assopite dall’anestetizzazione di massa che inevitabilmente stiamo subendo tutti. E’ un invito ad aprire gli occhi, un invito alla resistenza. Vi commuoverete guardandolo.
Godetevelo.
Andrea Grallinu