IL CASO DI IFLIPPO TURETTA E CHIARA PETROLINI:DICOTOMIA TRA BENE E MALE
Venerdì 25 ottobre scorso si è tenuto presso la corte di Venezia il secondo incontro del processo di Filippo Turetta, iniziato il 23 settembre, accusato dell’omicidio della fidanzata, dell’occultamento di cadavere e premeditazione.
Il processo continuerà poi il 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, e la sentenza definitiva si dovrebbe avere il 3 dicembre.
Da pochi mesi però è venuto a galla un altro caso dove sembra regnare un chiaroscuro che mostra grandi lagune di fronte alle quali lo stesso mondo mediatico ha dimostrato un forte silenzio: il duplice infanticidio di Chiara Petrolini, una ventiduenne originaria di Parma, anche lei accusata di occultamento di cadavere e premeditazione.
Proprio da queste due tragedie che sono inevitabilmente entrate nella gogna mediatica si dibatte se sia giusto o meno tracciare una linea netta e dicotomica tra bene e male.
In primo luogo la complessità di questi reati si rintraccia nel comprendere che vi è innanzitutto una visione mascherata dell’uomo che si destreggia tra la “normalità” e quella lucidità che si cela dietro questi crimini. Come nel caso di Chiara Petrolini dove risulta difficile saper coniugare l’idea di una studentessa e baby sitter con quella di un’omicida. Tracciare in maniera netta una visione dicotomica del bene e male, specialmente se relazionate a questi casi, equivarrebbe a seguire una realtà sempre filtrata e mai veritiera.
Dunque di fronte a facciate e costruzione sociali è impossibile richiedere la completa dissoluzione di quest’ultime proprio perché diventate parte intrinseca dell’uomo stesso. Tracciare e distinguere in maniera radicale e definitiva il concetto di bene e male potrebbe portare ad una visione falsata e semplicistica del mondo circostante. Dall’atro canto servirebbe attuare invece un relativismo critico, andando al di là della semplice classificazione di bene e male, volto non a giustificare azioni criminali o omicide, ma alla loro comprensione.
Martina hai veramente una marcia in più