Pubblichiamo con piacere un esaustivo ricordo del mitico Nardone fatta da Sergio Grifoni.
Sotto al post originale pubblicato sul profilo Facebook di Grifoni, il testo completo.
BRUTTI ZOZZI!Mancavano pochi giorni a Ferragosto. …
Pubblicato da Sergio Grifoni su Sabato 8 agosto 2020
BRUTTI ZOZZI!
Mancavano pochi giorni a Ferragosto. Come oggi.
Davanti all’hotel Ferretti di Monteluco, arriva una gazzella dei carabinieri, allertati perché due persone stavano litigando troppo animatamente. Uno dei due è Tommaso Nardone, l’altro è il padre di una ragazzina, che lo sta accusando di aver molestato la propria figlia.
I militi intervengono, Tommaso cerca di giustificarsi con le poche capacità dialettiche che è in grado di esprimere, mettendole concitatamente in campo per renderle più persuasive.
Si crea un piccolo assembramento di curiosi, elettrizzati dall’inaspettato episodio, che genera un calamitante fuori programma e spezza la pur fresca monotonia di una giornata di sole, di prato, di bosco. Pesante è l’accusa e insopportabile lo smacco, tanto da provocare una rabbiosa ribellione dell’uomo che incomincia a sostituire le parole non dette con reazioni scomposte.
Morale della favola: per resistenza a pubblico ufficiale, viene catapultato all’interno della volante e condotto, prima in caserma, poi al carcere della Rocca. Vi resterà per sei giorni, un’eternità per chi risulterà poi innocente. Questo episodio però ha influenzato i comportamenti futuri di Tommy, come lo chiamavamo noi spoletini. E questo perché custodiva in corpo un forte rancore nei confronti della Benemerita che, molti anni prima, non lo aveva accettato fra le proprie fila. Non fu arruolato nell’arma perché leggermente balbuziente. Eppure aveva superato brillantemente la visita medica. Era arrivato la mattina presto nei locali a ridosso dell’Arco di Druso, tutto impettito e con il vestito della domenica.
Un paio di medici, dopo qualche trentatré e alcuni esami di rito, ne constatarono la sana e robusta costituzione. Sembrava fatta, ma al colloquio con la Commissione, la sua speranza iniziò a barcollare, quando la costruita e studiata scioltezza lessicale, incominciò ad incepparsi ad intermittenza. E si arrestò anche l’intimo sogno, naufragando miseramente in quella maledetta balbuzie.
Con esso, annegavano anche la certezza del futuro, un rapporto amoroso con una ragazza di Pompagnano, una labile autostima e la possibilità del riscatto sociale. Gli rimaneva solo uno scampolo di orgoglio, recuperato sul fondo atavico delle sue origini abruzzesi. Era infatti nato in una famiglia di contadini a Lanciano di Chieti, nel 1940, il primo aprile. E di pesci in faccia ne ha presi tanti nella vita. Fu un sensale di Valle San Martino, di nome Gaetano, a convincere il padre a trasferirsi a Sensati, ai piedi di Patrico, per governare un decina di mucche e un po’ di maiali. E così Tommaso incominciò a trasportare, a cavalcioni di un mulo, traballanti stagne di latte, tra S.Antimo e la Colonia comunale, allora chiamata Olivetti. Fece amicizia con Padre Vitale, cappuccino di Monteluco, e con fra Biagio, (fra Viaciu), cercatore come lui, tanto da diventare il garzone nel convento del beato Leopoldo.
Nel frattempo la famiglia si era spostata a Meggiano di Baiano, nella proprietà Luparini.
Tommy però, una bella mattina, mentre zappettava nell’orto francescano, si sentì mancare il respiro. Condotto in ospedale, gli fu riscontrato un inizio di asma, causato dalla cosiddetta “Malattia del Fieno”, patologia non certo conciliabile con il suo stile di vita. Fu pertanto costretto a trasferirsi a Roma, per lavorare, prima al Gran Hotel come facchino di cucina, detto ufficiere; poi come caffettiere all’Excelsior ed al Caffè de Paris in via Veneto. Per alcuni mesi non lo pagarono, e stare lontano da casa, senza soldi, era veramente dura.
Fu così che l’ingenuità del bisogno, gli consigliò di accodarsi a un manipolo di colleghi che usò lo sciopero senza condizioni come protesta.
Risultato?
Fu l’unico licenziato.
Ritornò a Spoleto da disoccupato.
Arredò alla meno peggio un appartamentino a Campo di Fiori, e incominciò a lavorare saltuariamente con Giannoni, suo cognato, trasportando bombole di gas. Il Comune, ogni tanto, per farlo arrotondare, gli assegnava qualche lavoretto, soprattutto per la estirpazione delle erbacce dai muri del centro storico.
Nel periodo in cui i muri erano puliti.
Decise di rottamare la lambretta acquistata da Corvelli, a rate, e prese la patente B all’Autoscuola Bacchi. Con i pochi risparmi maturati, azzardò l’acquisto di una Fiat Cinquecento, sempre a rate.
In questo frangente particolare della sua vita, quando marcata era la fragilità psicologica ed umana, avvenne l’episodio di Monteluco. E da quel momento ha sempre voluto portare alla massima esasperazione il suo modo di essere e di fare, aiutandosi con qualche birra in più e qualche fojetta di troppo. Immersioni notturne nelle fontane cittadine in costume adamitico; comizi improvvisati, plateali e baritonali; meditazioni lunghe e silenziose davanti alle edicole religiose spoletine; infrazioni smodate con il Vespone, con la Mini Cuper, con la Fiat 850. Scorrettezze comportamentali, stravaganti e insolite, che attirarono l’attenzione anche di Chiambretti che, per un po’ di tempo, lo portò con lui in RAI. Un artificioso raggio di luce nel reale buio che lo circondava. Poi una mattina, alla soglia della pensione, volle andare a Perugia, negli uffici dell’INPS, per verificare la sua posizione contributiva
Al ritorno però, all’altezza di Spello, rimase seriamente ferito a seguito di un terribile incidente dove, tra l’altro, perse la vita il notaio Sacchi di Foligno. Entrò in coma e vi restò per sei mesi.
Chissà dove sarà stato in quelle venticinque settimane. Era però l’inizio di una lenta fine, avvenuta poi nel 2006. Nardone: amato, deriso, sopportato, compatito. Quando diceva “Brutti zozzi!”, sfogava la sua rabbia verso chi gli aveva negato un futuro migliore, rilegandolo alla solitudine ed alla precarietà.
Nonostante le apparenze, era un uomo buono e altruista, tra l’altro avisino e benemerito donatore di sangue. Un singolare personaggio, anche se discutibile. Nessuno avrebbe voluto essere come lui, ma son convinto che, con il senno di poi, ci dispiacerebbe se non fosse esistito. Certo, esagerava nel bere. O, forse, beveva per esagerare.