La D’Amico conquista il pubblico della Rocca con uno spettacolo intenso.

Lo spettacolo “Shame culture” dell’Accademia Silvio D’Amico

La corte interna della Rocca in leggera penombra. Un palcoscenico illuminato da una luce blu chiaro, prima. Un palcoscenico che poi diventa proiezione sociale e fisica della gabbia che avviluppa i giovani del nostro tempo. Tre bravissimi attori dell’Accademia Silvio D’Amico, Anna Bisciari, Vincenzo Grassi e Marco Fanizzi, che si scambiano ruoli e maschere sociali, ora vittime ora carnefici. Questo è stato “Shame culture”.
Il bellissimo spettacolo di Andrea Lucchetta si interroga sulla cultura della vergogna, mostrandoci quanto possa essere deleterio il giudizio degli altri nella nostra vita. Una vita in cui già da piccoli siamo abituati a essere competitivi, a essere i primi e i più bravi, a guardare con finta comprensione ogni forma di fragilità. Perché la fragilità si traduce in fallimento, e il fallimento non è accettato. A nessuna età. Così i bambini mentono. I ragazzi mentono. Gli adulti mentono. Perché la menzogna copre il fallimento, la mancanza di obiettivi, i sogni troppo poco concreti per la nostra società consumistica, in cui sono gli influencer a dettare legge.

Con una splendida presenza scenica e avvalendosi di più registri espressivi Anna, Marco e Vincenzo ci portano nel mondo dei ragazzi, stritolati dal senso di inadeguatezza e angosciati dell’attesa sociale, che incombe sulle loro spalle come una moderna spada di Damocle. Gli attori sono bravi a mostrarci anche la vita bugiarda degli adulti e la realtà di molte famiglie, dove l’affetto verso i figli è a volte direttamente proporzionale agli obiettivi da loro conseguiti. Il nido cessa di essere quindi rifugio dai mali del mondo ma diventa luogo fisico del malessere.

Nelle battute finali Anna, Marco e Vincenzo sconvolgono il pubblico con la drammatica affermazione che l’happy end è una prerogativa solo dei film alla “American Pie”. Perché nella realtà sempre più frequentemente i giovani smettono di lottare e muoiono di solitudine e di non accettazione. E il suicidio non ha in questo caso nessuna valenza eroica: è solo un perdersi in un tunnel sociale sempre più buio. Se le musiche di Luca Nostro accompagnano in maniera efficace tutto lo spettacolo, alla fine nel cuore del pubblico restano a lungo impressi gli splendidi occhi verdi di Anna e gli sguardi dolenti di Marco e Vincenzo. Un buco nello stomaco che acutizza la coscienza del potere sempre dilagante di una società disumana, che stronca spietatamente i fiori del futuro.

Lucia Romizzi

Credits foto Manuela Giusto