Strage di Capaci, il messaggio del sindaco De Augustinis

Il messaggio del sindaco Umberto De Augustinis per la strage di Capaci

Il 23 maggio 1992, 28 anni fa, veniva assassinato Giovanni Falcone insieme con tre agenti della scorta e la moglie Francesca Morvillo. Per il mondo e per la gente onesta fu un colpo terribile: tutti capirono che lo Stato non era stato in grado di difendere il suo servitore-simbolo, riconosciuto nel mondo. Profeticamente, lo stesso Falcone aveva detto: In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.

La morte di Falcone (dei suoi uomini, della moglie e, poco dopo, di Paolo Borsellino e degli uomini e donne della sua scorta) è una sconfitta dello Stato, incontestabilmente. A distanza di 28 anni, questo dato, più di ogni altro, segna l’inizio di una serie di dubbi, incertezze, delusioni, vicende oscure che hanno coinvolto e seguitano a coinvolgere molte, troppe persone e istituzioni fino ad oggi. Le stragi del 1992 hanno portato a risultati strani, in qualche modo sconcertanti, sintetizzabili in vicende tra loro anche contraddittorie, come “istituzione del 41 bis”/ “liberazione di soggetti al 41bis”, “ricerca di mandanti delle stragi”/ “presunta copertura dei mandanti”, “processi bis ter quater” etc., “trattativa Stato mafia”/ “processi a soggetti ufficialmente collocati in istituzioni antimafia”, “traffici su beni sequestrati alle mafie da parte di chi avrebbe dovuto curarne custodia e destinazione al bene comune”, etc.

In margine a questo, purtroppo anche l’atteggiamento di alcuni magistrati. Ilda Boccassini, ricordando una riunione dell’Associazione magistrati a Palermo ebbe a dire: le parole più gentili, specie da Magistratura democratica, erano queste: Falcone si è venduto al potere politico A Giovanni è stato impedito nella sua città di fare i processi di mafia. E allora lui ha scelto l’unica strada possibile, il Ministero della Giustizia, per fare in modo che si realizzasse quel suo progetto: una struttura unitaria contro la mafia». Già, perché dovrebbe essere ovvio che la lotta alla mafia/alle mafie non può avere colore. La scelta di Falcone, incredibilmente, dimostrerebbe che entrare in politica potrebbe anche consentire di sfuggire ad un ambiente inquinato irrimediabilmente.

La stessa Ilda Boccassini, dirà qualche tempo dopo: «Né il Paese né la magistratura né il potere, quale ne sia il segno politico, hanno saputo accettare le idee di Falcone, in vita, e più che comprenderle, in morte, se ne appropriano a piene mani, deformandole secondo la convenienza del momento…. Non c’è stato uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità.” Infatti, nell’arco di 28 anni, essere “antimafia” è divenuto un luogo comune: chi, anche fra le istituzioni, non è antimafia, nel suo campo? Eppure la mafia, le mafie sono agili, si chiamano in tanti modi.

Tornano in mente le parole di Padre Bartolomeo Sorge, gesuita ed uno dei protagonisti più significativi del Centro Arrupe di Palermo: “La mafia si presenta anzitutto come un sistema di potere. Essa, però, non si propone di creare disordine sociale, bensì di imporre il proprio ordine, le proprie regole, le proprie «leggi». Agisce come uno Stato nello Stato, come un potere occulto all’ombra del potere costituito. Il sistema di potere mafioso si è potuto radicare nel territorio, approfittando dell’assenza o della incapacità dello Stato. Perciò, la popolazione locale ha finito col vedere nella mafia un punto di riferimento, per fare e farsi giustizia. Quando, con grande ritardo, il legittimo potere costituito ha cercato di rendersi presente nelle zone amministrate dalla mafia, si è trovato nella incapacità di opporsi al dominio ormai radicato del potere mafioso. Ciò spiega perché la mafia ostenti arroganza e impunità nel compiere le sue attività illecite, e giunga a ottenere la copertura di politici, di imprenditori, perfino di alcuni magistrati. Nel confronto con il potere legittimo la mafia risulta spesso vincente perché è molto più flessibile degli organismi statuali, impacciati spesso dalla burocrazia e frenati da interessi politici. Di conseguenza, la mafia è molto più pronta dello Stato nell’adattarsi al mutare delle situazioni sociali, economiche, politiche; è abilissima nel camuffarsi, nell’infiltrarsi tra gli spazi della legalità, nel creare reciproci sospetti, tanto da rendere impossibile distinguere chi è mafioso da chi non lo è. Se i mafiosi fossero riconoscibili nel loro agire, non sarebbero più mafiosi. Essi si presentano spesso come persone per bene, perfettamente integrate nelle istituzioni pubbliche e nei gangli del potere”.

In tutto questo, inefficienza, ignoranza, approssimazione e superficialità, clientelismo e anche arroganza sono non meno alleati delle mafie della codardia o della collusione esplicita di tanti ed ecco perché, oggi, ci manca tanto un Falcone vero, tanto quanto il vaccino antivirus.